JACK ZGRAGGEN,
PITTORE VISIONARIO E METAFISICO
di Dalmazio Ambrosioni
La prima reazione di fronte alla pittura di Jack Zgraggen è di sorpresa.
Ci coglie sbilanciati e anche un po' spiazzati nel cercare di
darle un senso che risponda alle normali categorie. Da una parte
si è colpiti, attratti, coinvolti. Comunque interessati e anche un po'
affascinati. Dall'altra si fatica a raccapezzarsi trasfigurazione e
astrazione, tra dato realistico e componente fantastica. In questi
casi si usa dire che è una pittura magica. Magico,in questo tempo
di approssimazione culturale e di tentazioni esoteriche è un termine
che va sempre bene...
Ma non per Zgraggen e per la sua pittura, che nasce da agganci
ben precisi. Intanto conserva qualcosa, ed anche più di qualcosa,
della controcultura hippy dei "mitici" anni Sessanta, e prima ancora
della Beat Generation. Quindi di personaggi del calibro di Jack
Kerouac di Sulla strada (On the Road), William Burroughs di Il pasto
nudo (Naked Lunch), Allen Ginsberg di L'Urlo (Howl), Neal Cassidy,
su su fino a Bob Dylan, letture e ascolti fondamentali in quello
splendido intreccio tra poesia, letteratura e musica pop che voleva
cambiare (e in effetti cambiò) lo stato delle cose. Nei quadri di
Zgraggen ci sono le atmosfere e i colori, ma soprattutto la sete di
spazio e di libertà di quell'epoca di figli dei fiori,l'esplosione psichedelica,
la musica e la voglia di cambiare. Ci sono lo spazio dell'immaginazione
e le immagini del cambiamento: realtà nuove,
non solo poesia e colore ma anche un mondo più colorato per
essere anche visivamente più autentico, spontaneo, generoso,
senza compromessi. Appunto per non cadere nei compromessi,
Jack Zgraggen ha portato avanti con coerenza e anche con fatica
scelte radicali: la natura, il territorio, l'arte. Costi quel che costi.
ARTE COME SPAZIO DI LIBERTÀ
Anche nell'arte il taglio è netto. Nessuna descrizione,niente imitazione
o maniera, ma una pittura che interpretasse pienamente,
fino in fondo, la sua personalità e le sue scelte di vita. L'interesse
per il colore, la luce, il movimento e la musicalità nella sua pittura
coincidono con un'esigenza di alterità rispetto al tempo che viviamo;
più immaginazione, fantasia, spontaneità, bellezza ;
apertura sul mondo dell'inconscio, sulle pulsioni originarie, sul
mondo primitivo, sulla cultura popolare colta anche nella sua
declinazione più dotta.
Jack Zgraggen cerca nell'arte uno spazio di libertà. Per sé e per
questo nostro tempo. Allora caparbiamente, quarant'anni dopo,
mantiene il filo del collegamento con le utopie degli anni Sessanta
e della gioventù. Con le nuove frontiere della politica,con la
Nuova Sinistra americana che era tutt'altro rispetto ad oggi, e con
l'American Civil Rights Movement (Movimento Americano per i
diritti civili). Insomma per un mondo più giusto. E più divertente, più
felice. Quindi con le Summer of Love, le estati dell'amore, con
Woodstock, Monterrey e altri fantastici raduni, la musica nelle
orecchie, l'utopia negli occhi. È tutta un'indimenticabile, irripetibile,
fantastica stagione che si ridesta in questa pittura traboccante
di toni pastellati e di evocazioni. Non è nostalgia e nemmeno semplicemente
ricordo, non è il sentimento di qualcosa di perduto e
irrecuperabile; è la memoria, ossia il ridestarsi nella coscienza di
qualcosa che, attraverso l'arte, ridiventa operante qui e adesso.
CULTURA ALTERNATIVA E UTOPIA
L'opera di Zgraggen (la pittura certo, ma anche la sua scultura
leggera e sensibile, delicata eppure fortemente evocativa, naturale
e "povera") si colloca nel filone del cosiddetto realismo fantastico
o, se si vuole, nel glorioso solco della pittura fantastica
e metafisica. Quindi, sul piano storiografico, dalle parti di Odilon
Redon e Alberto Savinio, di Marc Chagall, Max Ernst e Joan Mirò.
E prima di William Blake, di Caspar Friedrich, di Arnold Böklin. E prima
ancora va a recuperare qualcosa di Grünewald, di Brueghel
il vecchio, Hieronymus Bosch e anche del nostro (nel senso che
nasce a Milano, ossia nel bel mezzo dello spazio di cultura cui
apparteniamo) Giuseppe Arcimboldi, quello dei ritratti con le verdure.
Pittori visionari, appunto. I campioni della prospettiva visionaria
e dell'utopia, della proposta nuova, alternativa. È l'affermazione
della controcultura attraverso il fil rouge di artisti fortemente
innovativi, rivoluzionari, in aperta controtendenza rispetto alla
cultura del loro tempo. Mai manieristi né imitatori, ma capaci di
cogliere il senso del nuovo, del cambiamento, di stabilire un rapporto
più efficiente con la realtà nel suo complesso: non tanto
quella fisica, materiale, ma e di più quella interiore, emotiva, psichica,
spirituale.
REALISMO VISIONARIO
Nemmeno a Zgraggen interessa ritrarre la situazione del suo e
nostro tempo, riportarla così come comunemente la si vede. Gli
interessa invece la percezione, ossia come le immagini del moderno,
della realtà che ci circonda, quella che si fa giorno per giorno,
si intrecciano e interagiscono con quel che siamo. Con la
memoria antropologica, con la dotazione originaria ed ereditaria
che ci portiamo dentro, e poi con l'esperienza, con quello che gli
psicologi chiamano "il vissuto".
Realismo visionario. È una contraddizione di termini, ma rende
bene l'idea. Il dato realistico e figurativo nella pittura di Zgraggen
è diluito all'interno dello spazio dell'immaginazione, della fantasia,
della visione sorprendente. Parte da un aggancio riconoscibile,
da figure, volti, natura, paesaggio, memoria, riferimenti, simboli,
citazioni culturali e lungo questa serie di riferimenti ci conduce
nel suo bosco espressivo. Qui riusciamo ad orientarci e a non perderci
attraverso una serie di segnali che come i sassolini bianchi
di Pollicino per tornare a casa danno un senso al mondo visionario
in cui siamo immersi. I punti fermi, gli agganci sono costituiti
dalla tradizione orale, dalle fiabe, dai racconti popolari, dalle
saghe. Dalle paure, dai sogni e dagli incubi, ma anche dalle visioni
felici e giocose. Il mondo dell'inconscio prende il sopravvento
sulla realtà quotidiana.
Nelle opere di Zgraggen siamo costantemente sospesi tra realtà e
sogno, tra l'evidenza e il suo contrario. Proprio come il mondo
popolare e contadino, tipico dell'arco alpino, che ha saputo stabilire
un rapporto diretto, funzionale e produttivo con le cose e con
il territorio, ma al tempo stesso ha conservato e coltivato e difeso
il proprio di libertà, di creatività, di immaginazione e di visione.